sabato 7 giugno 2008

L’ultima stella della notte


Nuvole e vento. Era questo il mio cielo. Ricordi di letture giovanili e di viaggi in cui quell’andirivieni di luce e ombra mi sembrava lo specchio della vita. E’ rimasto solo il vento, ad agitarmi. Niente nuvole baciate dal sole, niente cielo, solo vento. Ma il vento che colore ha? Non saprei dirlo ma se ne ha uno di certo è scuro e non porta il profumo delle ginestre o degli oleandri.
Una volta c’era anche una stella, nel mio cielo, ma da tempo non so più vederla. E’ ancora lì, ignara e luminosa come sempre, la intuisco, a volte, ma vederla no, non ci riesco.Guardo il ragazzo davanti a me, silenzioso mi studia. Chissà cosa pensa e chissà cosa penserebbe se potesse leggere il mio, di pensiero. Cerco di abbozzare un sorriso per allentare la morsa del silenzio. Devo dirgli qualcosa di importante ma a questo punto non saprei da che parte cominciare e il tempo stringe.
Nella vita di ogni uomo ci sono tre appuntamenti fondamentali: la nascita, la morte ed il momento in cui lucidamente ti rendi conto che non sei eterno, che la vita passa davvero. Sembra un paradosso eppure è proprio così. Un giorno è come se ti svegliassi prendendo perfetta coscienza del passato mentre il presente e il futuro si toccano, procedono paralleli e non hai niente da aspettarti.
Ed è in quel preciso momento che realizzi il bilancio della tua esistenza. Che scopri se sei un fallito oppure no, se hai fatto tutto quello che potevi, se sei stato all’altezza dei tuoi mezzi nel coltivare le tue ambizioni, nell’inseguire i tuoi sogni. Niente rimpianti, niente nostalgia, nessun sentimento, solo la lucida percezione che ormai hai più passato che futuro e che il tuo passato è tale e tanto da aver già scritto tutto il tuo futuro. Se sei scontento o infelice sei comunque costretto a sopravviverti, quel tanto o poco che resta.
Eh sì amici miei, è proprio così e non puoi farci proprio nulla. Non è una sensazione deprimente. E’ una sensazione disperata. Si, disperazione nel vero senso della parola, scopri che sei un senza speranza. Ormai sai che tutto è stabilito e certo puoi distrarti in mille modi, impegnarti nel lavoro, cercare avventure, comprare cose, fare il saggio o il pazzo ma non puoi, non puoi nel modo più assoluto, avere un progetto di vita, un’altra vita. La vita è tutta lì, come un treno fermo su un binario morto mentre tutt’attorno la vita scorre veloce e colorata come sempre, come sempre. Sempre, mai, adesso, dopo. Parole che cambiano improvvisamente senso. Chissà forse non è così per tutti. Magari i migliori sono più sereni o più indulgenti con la propria storia.
E quel momento un giorno è arrivato anche per me. Da lì in poi ho saputo esattamente di essere solo: arrivi a un punto e, a quel punto, sei solo con la tua vita, tutto diventa improvvisamente relativo. Il relativo assoluto.
Per arrivare a questo era forse valsa la pena di vivere? Per conquistare questa dimensione era stata necessaria una vita? Per me il giorno della coscienza è arrivato come in sogno. Non saprei dire se una simile svolta è avvenuta davvero, in un bosco, un giorno d’estate, o se è stato solo un incubo o uno scherzo dell’immaginazione.
E’ il momento e guardando il ragazzo dritto negli occhi inizio a raccontare.
“ Amico mio, tutto è cominciato con un rumore.
Il rumore veniva da dietro un cespuglio. Era come un sospiro, ma più rotondo, ritmico. Non forte, non acuto, ma allo stesso tempo profondo e sommesso, anche se leggermente sibilante. Non potevo non guardare di che si trattasse. Io, quel bosco, lo conoscevo come le mie tasche, niente animali pericolosi. Prudentemente, circospetto, cominciai a girare attorno al cespuglio. Il rantolo si avvicinava. Era più forte di quel che avevo sospettato. La “bestia” era dietro una piccola macchia qualche metro più in là.
Aggirando il fogliame cominciai a percepire nettamente la presenza dell’animale. Non mi sentivo affatto tranquillo ma la curiosità era troppo forte. Quando lo vidi restai impietrito.
Davanti a me, accasciato a terra, rantolante, c’era un essere enorme. Verdastro ma non viscido era….. ma si, era un drago!
“Ma che esistono i draghi ?” pensai. Evidentemente si, dato che ne avevo davanti uno.
“Ti aspettavo” .
La voce mi fece trasalire. Chi aveva parlato? Mi guardai in giro senza vedere anima viva. Solo il drago.
Ma il drago era immobile, assorbito dalla sua agonia e non aveva certo mosso un muscolo.
“Ti aspettavo, non ho più molto tempo” ripeté la voce.
Era il drago! Non stava parlando, quella voce la sentivo dentro, pensavo il suo pensiero.
“Devi ascoltare la mia storia – disse -. Una volta, non molto tempo fa, ero un drago guerriero. Voi umani non sapete dell’esistenza di noi draghi che dalle favole, ma noi esistiamo davvero, solo che non ci potete vedere”.
Ero sbalordito, a dir poco. Non solo ero in presenza di un drago vero, in agonia, ma stavo comunicando con lui con il pensiero!
“ Ebbene tu non sei qui per caso”.
Il drago tacque per darmi il tempo di assimilare il peso di quelle parole.
“ Tu sei il mio destino e io sono il tuo. Ascolta. Di certo tu non hai mai nemmeno pensato che esistessimo, siamo forti e vitali ma siamo anche vittime della nostra natura. Nasciamo per combattere e moriamo solo combattendo. E’ così che vanno le cose: i draghi combattono e combattono e combattono senza soste, guidati dall’unico imperativo che ci detta l’istinto: vincere. Nel nostro mondo chi perde muore, per questo non incontrerai mai un drago che possa raccontare di essere stato sconfitto. Negli ultimi mille anni ho combattuto infinite battaglie e sono mille le cicatrici che hanno segnato come medaglie la mia corazza. Certo noi draghi ci scontriamo con i cavalieri, o altre creature che albergano solo nella vostra fantasia, e sono battaglie cruente, o vivi o muori. Io ho sempre vinto. E’ questa la vita di noi draghi, tattica, strategia, forza, astuzia, opportunismo e intelligenza sono la nostra religione e un drago valoroso come me può vivere mille e più anni passando da un avversario all’altro. Per questo dobbiamo errare in eterno, nell’ attesa dell’ultimo scontro e della morte che libera da questo obbligo. Noi nasciamo solo per questo.
Ma oggi, con me, la storia cambia e tu sei l’erede, il testimone della memoria di quanto ha generato questa strana mutazione”.
Non potevo credere alle mie orecchie. Stavo per dire qualcosa ma il bestione mi prevenne: “ Taci e ascolta attentamente perché fra qualche tempo, guardandoti indietro e ripensando alle mie parole, capirai che oggi per te è accaduto qualcosa che ti cambierà la vita.
Qualche tempo fa – disse ancora il Drago - ho conosciuto una fanciulla. Non una principessa del castello incantato, ma una giovane donna. Sara. Una come tante, credevo. E invece un giorno, chissà come e chissà perché, ho sentito il suo dolore. L’ho sentito dentro di me così forte, così vero, così dolce, che fui preso da tanta tenerezza per lei da precipitare nel panico. Una sensazione sconosciuta per noi draghi. E fu l’inizio della fine. Quegli occhi azzurri, tristissimi e imploranti. E quella luce che emanava da lei come un alone… Sentivo come una morsa allo stomaco. Un nodo mi stringeva la gola e allo stesso tempo un mondo si faceva strada dentro di me mentre vedevo una corsia scintillante che ci legava. Più pensavo a lei, più sognavo di noi, e più soffrivo. Così decisi di avvicinarla col bel risultato di farla fuggire il più lontano possibile. E, accidenti, i draghi non si innamorano, non conoscono l’amore e non sognano. O almeno è stato così dalla notte dei tempi, fino a quel giorno. Noi draghi possiamo comunicare solo col pensiero, anche a grande distanza. E’ fu così che le dissi del mio amore.
- Quando ti penso, Sara, non posso distogliere il mio cuore dal tuo e ogni minuto ora è terribile, più di ogni battaglia. Ogni attimo è forte, ma mai quanto la dolce speranza di rivederti. Mi aggiro in questa bruma scura, solcando il cielo come una nave di naufraghi e ti cerco, senza fiato, alla luce della stella che porta il tuo nome, Principessa - .
Queste furono le mie parole ed ella fuggì ancor più lontano. Ma pianse.
Pianse per me, per il mio dolore. Per il mio cuore sanguinante, ferito da un amore impossibile.
La principessa e il drago. Che melodramma appiccicoso. Eppure questa è la storia”.
E poi ? Chiesi sempre più incredulo
“ E poi ho imparato che i draghi non sono destinati a morire solo in battaglia. Una volta scoperto l’amore sono perduti: non muoiono ma nemmeno possono vivere. Lei è fuggita e così ho rinunciato alla speranza. Prima mi sono cadute le ali, poi non sono più nemmeno riuscito a camminare. Ma i draghi non possono arrendersi e così ho continuato il mio viaggio, strisciando. L’amore mi rubava la vita, lei, la Principessa tra le stelle, i sogni, la libertà, il futuro. Non so strappare il mio cuore dal suo e mi maledico per la mia debolezza. Da tempo aspetto che mi consoli un angelo nero che spenga questo dolore, la taenia del mio cuore. Che mala sorte per un drago guerriero. Mi faccio schifo. La tua pietà e la sua compassione fanno uno schifo di me. Non mi sopporto. Ridotto così avrei voluto urlare, ma ho pianto. Ho pianto per lei, ho pianto per me. Non posso più vivere e non posso morire se non vengo sconfitto. Ho capito che questa è la maledizione del drago: non puoi essere quello che senti, non puoi sembrare quello che sei e quello che sembri è terribile. Non puoi amare e non puoi essere amato, e il sognare l’amore ti uccide dentro. Certo, ora che la fine è qui, che è arrivato il momento, tutto è solo un gran vuoto. La mia anima è un posto freddo, un buco che mi inghiotte da dentro e non c’è più traccia dell’antico fuoco del drago guerriero di un tempo. Non ho paura, fra un attimo sarà tutto finito e finalmente saprò se tutto questo dolore è stato l’amore vero, o nient’altro che il sogno di poter amare ”.
Il drago restò in silenzio a lungo. Tanto a lungo che credevo fosse morto. Poi improvvisamente disse:
“ Tu sei il testimone. Tu devi raccontare questa storia. Devi essere la memoria che vive. Perché finché tu ricorderai la mia libertà e il mio sogno vivranno con te. Sei qui per questo e questo è il tuo destino.
Non è poco sai . Lo vedi il drago che muore ? Nessun essere umano ne ha mai visto uno. Uomo, guardalo bene nel bianco degli occhi. La senti questa musica? E’ la voce di un drago che muore, dolcissima, orribile. Se mi tradisci l’ala del mio sogno non batterà più l’aria. Mai più”.
Non so se ci fosse già quando ero arrivato, non l’avevo vista prima. Accanto a me c’era una spada enorme. Il drago taceva e fissava quella lama luminosa nell’oscurità del bosco. Guardava me, guardava la lama. “No, non posso farlo “ pensai. Ma lo sguardo del drago era ormai una preghiera. Voleva morire da drago. Ma io non potevo, non era solo pietà, la mia, era anche paura. Non avevo mai ucciso nessuno e non avrei cominciato in quel bosco. Il drago poteva muovere solo la coda e fu con quella che mi colpì. Fu come una frustata, in faccia. Sentì il sangue colarmi dalla fronte e capì che se non l’avessi fatto mi avrebbe ucciso. Non potevo fuggire, la coda era troppo lunga e veloce e lui era ancora troppo forte. Il primo colpo gli aprì una ferita nella gola. Non so se uscì sangue o che altro. Non vedevo bene tra il sangue che mi colava dalla ferita sulla faccia e le lacrime. Si piangevo, piangevo uccidendolo. Ricordo solo il suo sguardo di gratitudine mentre partivo per l’ultimo attacco.
E così, con il rantolo che se ne uscì come una nota dolcissima e struggente, il drago chiuse gli occhi e morì con un sospiro.
Restai a vegliare il cadavere del drago tutta la notte. Non so perché. Forse pensavo che da un momento all’altro avrei udito dentro di me ancora la sua voce, ma era finita.
Ogni tanto alzavo gli occhi al cielo per guardare le stelle che occhieggiavano tra le chiome degli alberi e la nebbia. E così la vidi, l’ultima stella della notte e prima stella del mattino, quella che scaccia le ombre e accende di nuovo il giorno, La principessa tra tutte le stelle. Sapevo che, se quella stella aveva un cuore, quello del drago era con lei e che mai avrebbero potuto staccarsi. Così me ne andai”.
Ora eccomi qui, ho raccontato la mia storia e guardo il volto del ragazzo davanti a me che, incredulo ma indulgente e forse un po’ annoiato, ma, gentile, ascolta in silenzio il delirio di un povero vecchio, il mio delirio. “ Ragazzo, ho sempre tenuto per me questo segreto. Ma ora ho dovuto raccontartelo. Ora lo sai anche tu. Non è un caso che oggi tu sia venuto a trovarmi in questo ospedale. Tu sei il testimone. Tu devi raccontare la mia storia, devi raccontare del drago e di Sara, la Principessa. Devi essere la memoria, che vive, e il mio sogno sarà libero di esistere. Sei qui per questo e qui il tuo destino incontra il mio e quello del drago.
Sto morendo, lo sai. E con me il drago sta morendo ancora. E di nuovo piange se stesso sognando l’amore e la Principessa tra tutte le stelle. Pregano i draghi? Chiedono pietà al loro dio per una vita senza amore? Non lo so, ragazzo. Non l’ho mai saputo, ma ormai è la fine. Mi resta solo un fiato, un filo di fiato. La vita continua, tu non dimenticare. La vita è una lunga solitudine che non vedi, un senso di distacco continuo di separatezza che cogli quando non puoi farci più nulla. Da tempo so di essere solo. Solo con la mia vita e, da quando so, tutto è diventato improvvisamente relativo. Il relativo assoluto. Vita e morte questo no, non è relativo, ma è solo la fine e la fine non ha mezze misure: il drago sta morendo ancora. E io con lui”.
Il ragazzo ha capito.
Con mano tremante stacca la spina alle macchine che tengono in vita il vecchio. Poi abbassa le palpebre inerti su quello sguardo ormai senza vita. Una preghiera. Pochi minuti e lo lascia in balia delle infermiere che preparano un sacco nerastro per portarne via il corpo.
Una volta all’aperto gli sfugge un sospiro profondo. Accende una sigaretta, riflette osservandone il fumo, come se il volo di quelle piccole volute bianche potesse alleggerirgli la tristezza. Si avvia lungo il viale, accompagnato dal rumore dei passi sulla ghiaia. La testa inclinata di lato, pensoso, riflette sulla libertà della giovinezza, sulla potenza del sogno, sull’amore. Si chiede perché la fine dell’illusione abbia diviso il drago dal vecchio e se non fosse davvero questa divisione il sintomo della sua sconfitta. Infine diventa improvvisamente cosciente del ritmico rumore dei propri passi sul viale. E gli pare sbagliato, stonato, fuori posto. Sente salire da se, dai precordi dall’anima, un altro ritmo, diverso. Una musica strana, dolcissima, orribile. E capisce tutto. Non c’è molto tempo. In fretta fruga nelle tasche in cerca del cellulare. Chiama, attende, sorride:
“Pronto?...Sara….”

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